«Il brutto lo conosciamo tutti, bisogna raccontare anche le cose belle»: il messaggio è di Agnese Scaramuzzi e Stefano Nisticò, una mamma e un papà che da quasi dieci anni hanno provato sulla loro pelle il peso di vivere accanto a un figlio che si ammala di tumore, ma anche la gioia di vedere la via d’uscita e di riuscirci con l’aiuto di tanti, compreso lo staff del Progetto Bambini del Fondo Edo Tempia. L’anniversario del “giorno più bello della loro vita” quasi coincide con la giornata che nel mondo è dedicata all’informazione e alla consapevolezza sul cancro infantile che cade il 15 febbraio. Era il 9 febbraio del 2014, invece, quando i medici dell’ospedale Meyer di Firenze diedero loro la buona notizia: il loro bimbo era fuori pericolo. Nei sei mesi precedenti Francesco, che aveva tre anni, era diventato per tutta Biella “il Francy”: un’intera provincia lo aveva stretto in un abbraccio fatto di pensieri positivi, speranza, aiuti materiali in una situazione difficile. E un’intera provincia pianse di gioia quando, attraverso il gruppo Facebook creato in quelle settimane, fu proprio un video di Francy a dare l’annuncio, con un urlo davvero liberatorio: «Sono guarito!».
La lunga strada da affrontare
Le cure erano state come una tortuosa strada in salita lunga più di sei mesi: il malore in spiaggia in Toscana durante le vacanze, la corsa in ospedale, la diagnosi terribile di un tumore al cervello, gli interventi chirurgici, le terapie e l’attesa, mettendo da parte la vita di prima – la casa, il lavoro, la serenità – per trasferirsi a Firenze in uno degli appartamenti accanto all’ospedale, riservati alle famiglie di chi è in cura. Ma dopo aver raggiunto la vetta c’era un’altra salita ad aspettare mamma, papà, Francy e il fratellino Andrea: la convalescenza, i controlli periodici e il peso nel cuore e nella testa che una simile esperienza lascia negli adulti e nei piccoli.
Il Progetto Bambini
È a questo punto che la storia di Francy si lega al lavoro del Fondo Edo Tempia e del suo Progetto Bambini. «Bisogna imparare ad accettare l’aiuto degli altri» racconta oggi papà Stefano. «Gli occhi più distaccati di chi è esperto aiutano a vedere cose di cui da soli non ci renderemmo conto». Per esempio l’ansia che l’immancabile sorriso del piccolo Francesco («Più di metà della forza che abbiamo avuto arrivava da lui» dice la madre) riusciva a nascondere bene: nel laboratorio di arteterapia con Giovanna Pepe Diaz i suoi primi disegni erano neri. E gli animali del suo piccolo zoo erano chiusi, perché erano malati. «Varcava la porta del laboratorio» ricorda mamma Agnese «ed entrava in un mondo tutto suo, di cui non ci raccontava nulla. Lo viveva come un posto sicuro dove poteva lasciare libera la sua emotività. È servito molto tempo perché si aprisse anche con noi raccontandoci quello che faceva durante le sedute». Nel frattempo i disegni hanno riacquistato colore e quelli scuri, rimasti appesi al muro, un giorno sono spariti: «Giovanna ci ha detto che avrebbe deciso lui quando toglierli. E quel giorno, dopo un percorso lungo e per lui importante, alla fine è arrivato».
Qualche porta più in là, sempre al terzo piano della sede di via Malta 3, c’è lo studio di Isabella Graziola, una delle psicologhe del Fondo. Qui hanno bussato papà e mamma, per ricevere anche loro supporto e affrontare la loro parte di salita. Stefano Nisticò ha raccontato questa strada in un video che venne mostrato nel 2020, in occasione dei dieci anni dalla nascita del Progetto Bambini, in un convegno organizzato all’ospedale di Biella. Oggi ha un consiglio per tutti coloro che dovessero affrontare difficoltà simili: «Dico alle famiglie di non restare chiuse in se stesse. Affidatevi agli aiuti che vi vengono offerti e accettate la malattia per quella che è». Usa parole simili anche Agnese Scaramuzzi: «La prima medicina è stata la vicinanza della gente».
Mai da soli
Quel calore si manifestò nel 2014, nei mesi della paura. Non ha mai smesso di mostrarsi ora che la situazione è più tranquilla: Francy ha ormai 13 anni, frequenta le scuole medie, continua a tifare per il Torino e ad avere un sacco di amici legati al mondo di Pallacanestro Biella che dal primo giorno lo ha “adottato” come un giocatore in più della squadra. Il fratello Andrea è cresciuto anche lui, con una sensibilità verso chi è in difficoltà superiore alla media, figlia della sua esperienza. I controlli medici continuano, non più a Firenze ma a Novara «dove abbiamo trovato disponibilità e umanità uniche» aggiunge la madre. «Francy affronta tutto con grande fiducia: l’importante è che gli venga spiegato bene che cosa succede, come faceva da piccolo». Ricorda il padre: «Ha dovuto fare una biopsia di recente. Noi eravamo spaventati all’idea di dirglielo e con tanta ansia addosso. Ma lui, tranquillo, ha detto: ok, facciamola».
Quasi dieci anni di cammino sono stati lunghi e faticosi. Ma resta la sensazione di non essere mai stati soli: «Ricordo la festa per Francy in piazza in Riva nel 2014» dice Agnese Scaramuzzi «una folla che in fondo stava celebrando un bimbo malato. Non siamo mai stati chiusi sulla malattia di nostro figlio. E la gente ci ha ripagato con un affetto che dura ancora oggi». Stefano Nisticò aggiunge un ulteriore messaggio: «Mettersi in gioco è importante. Se abbiamo avuto sostegno dalla professionalità dei medici o dal Fondo Edo Tempia è perché qualcuno ci ha pensato prima di noi. Se non si accetta di percorrere la strada indicata, è come se si interrompesse una catena».
I servizi del Progetto Bambini del Fondo Edo Tempia sono a disposizione gratuitamente grazie alle donazioni di chi sostiene l’associazione. Spaziano dal sostegno scolastico a quello economico, dal servizio di trasporti da e verso gli ospedali alle attività complementari come yoga e arteterapia fino al supporto psicologico per i bambini e i loro familiari. Per informazioni e contatti basta scrivere a progettobambini@fondazionetempia.org