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Tumore della prostata, diventate protagonisti della ricerca

Da qualche mese ai pazienti che bussano alla porta del Fondo Edo Tempia per il test di prevenzione del tumore della prostata viene proposto un passo in più, quello di partecipare a un progetto di ricerca del laboratorio di genomica. Si chiama Dp3 e ha l’obiettivo di rendere più efficace la diagnosi precoce: oggi la proteina che viene considerata la migliore “sentinella” indicatrice di problemi è il Psa che viene misurato nel campione di sangue prelevato nei nostri ambulatori. Ma il Psa in rari casi può non accorgersi della presenza di un tumore e a volte dà dei falsi allarmi che possono portare a indagini invasive non necessarie. Per questi motivi lo staff di ricerca intende validare nuovi marcatori diagnostici, già identificati grazie a due precedenti studi condotti a Biella, che possono essere abbinati al Psa per aumentarne la sensibilità e la specificità. Per farlo ha chiesto aiuto anche a uomini di età compresa tra i 50 e i 69 anni che si rivolgono a noi, moltissimi dei quali hanno risposto con entusiasmo: «Dal febbraio dell’anno scorso abbiamo già reclutato più di 300 uomini» dice Giovanna Chiorino, direttrice del laboratorio di genomica «e 120 di loro hanno già effettuato il secondo prelievo sei mesi dopo l’arruolamento. In tre anni sono previste analisi su campioni di 700 persone».

Aderire allo studio è semplice: nei giorni fissati per il prelievo del Psa, allo staff degli ambulatori si affiancano le ricercatrici del laboratorio che compiono una rapida mini-intervista per raccogliere non solo i dati anagrafici dei candidati ma anche indicazioni sulle loro abitudini e stili di vita. I campioni di sangue non serviranno solo per stabilire il valore della proteina: «Isoliamo il plasma, l’anello di cellule mononucleate di sangue periferico e il siero» spiega Giovanna Chiorino. «Poi i pazienti vengono sottoposti a una visita urologica con uno specialista a cui viene anche consegnato un campione di urine. In base agli esiti del consulto si valutano eventuali ulteriori indagini, biopsia o risonanza magnetica. Chi non ne avesse bisogno o ricevesse esito negativo, fortunatamente la stragrande maggioranza di chi aderisce, viene richiamato per tre volte ogni sei mesi per ulteriori prelievi di sangue per il dosaggio del Psa e dei marcatori circolanti».

Quali sono queste nuove “sentinelle” che possono far suonare un campanello d’allarme o smorzare allarmismi ingiustificati del Psa? Si tratta di molecole circolanti presenti nel sangue che comprendono piccoli Rna chiamati microRna e una classe di lipidi definiti sfingolipidi. Chi riceve esito di tumore prostatico segue l’iter clinico stabilito dalle linee guida e dona alla ricerca un frammento del tessuto prelevatogli. In questo caso, la nostra equipe di ricerca andrà ad analizzare l’espressione di un pannello di geni utili per comprendere l’aggressività del tumore e l’eventuale resistenza alla terapia ormonale.

«Le indagini aggiuntive nel nostro laboratorio» aggiunge Giovanna Chiorino «non determinano un parametro decisionale per la scelta terapeutica ma verranno impiegati come ulteriore validazione degli studi precedenti per un futuro utilizzo clinico». Come ogni ricerca, il fine è di aggiungere conoscenza da mettere a disposizione di tutti, in questo caso rendendo più efficace la diagnosi precoce del tumore della prostata che è il più diffuso tra la popolazione maschile. Si può dire che ogni biellese che aderisce allo studio dà una mano a chi, un giorno non lontano, potrà evitare biopsie non necessarie o essere curato in tempo grazie a un test semplice ed efficace ed avrà in questo caso una valutazione precisa sul grado di aggressività della malattia.

Allo studio partecipano anche l’Italian institute for genomic medicine di Torino, l’Asl di Biella, che ha iniziato a luglio il reclutamento dei pazienti, l’ospedale Molinette di Torino che ha messo a disposizione insieme all’ospedale biellese campioni di tessuti tumorali di pazienti operati di recente ma anche dal 2009 al 2011: « I campioni più datati consentono di associare i risultati all’eventuale progressione della malattia dopo la prostatectomia, ai parametri istopatologici e clinici e alle immagini istologiche digitalizzate». Il progetto è stato finanziato in parte dalla Compagnia di San Paolo e dalla Rete Oncologica di Piemonte e Valle d’Aosta.

In attesa dei risultati-obiettivo della ricerca, un dato ha già attirato l’attenzione delle ricercatrici. Da una prima analisi delle risposte dei questionari è emerso che il gruppo di uomini che ha dichiarato di fare attività fisica più di tre volte alla settimana ha anche livelli di Psa significativamente più bassi rispetto a chi ne svolge di meno. «È un importantissimo risultato» osserva Giovanna Chiorino «che ci fa capire quanto impatto sulla salute abbia l’adozione di corretti stili di vita».

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