Dal numero di ottobre di Foglie
Quando Simone Rossi ha rivisto, sulla pagina Facebook del Fondo Edo Tempia, la foto di Sinisa Mihajlovic sulla panchina del Bologna, è stato quasi come guardare uno specchio. L’allenatore di serie A era uscito dall’ospedale, dove era in cura per la leucemia. E lui tante volte aveva fatto lo stesso, tra una chemioterapia e una seduta di radioterapia, per non perdersi nemmeno gli allenamenti del figlio, che gioca negli Esordienti della Fulgor Ronco Valdengo. «Quando mi dicono che sono un eroe» scherza, ma non troppo «io rispondo che sono uno sfigato. Mi sono ammalato di una malattia di cui avevo paura».
È successo cinque anni fa. Era il 2014 e l’ospedale di Biella stava traslocando nella nuova sede. «Mi piace pedalare sulla mountain bike» racconta Simone Rossi «e pensavo che quel fastidio all’inguine che non se ne andava fosse colpa della bicicletta. Non mi era mai piaciuto andare dal medico ma quella volta ebbi una sorta di presentimento. Mi prescrissero esami su esami. Ma non il test del Psa: sembravo troppo giovane per avere quel problema. Ma una volta escluso tutto, lo feci». Il primo verdetto fu allarmante. Il secondo, quello della biopsia, anche: «Era un cancro alla prostata particolarmente aggressivo. Bisognava fare in fretta». Da Biella a Candiolo e negli ultimi tempi a Orbassano, per tenere a bada le metastasi Rossi è stato sottoposto a più di cento trattamenti, tra chemio e radio, e a una terapia sperimentale per i tumori alla prostata con mutazione genetica, seguendo un protocollo concordato con scienziati statunitensi. «Ma non ho mai perso un giorno di lavoro» racconta, mostrando il suo negozio da parrucchiere in via della Vittoria a Chiavazza. «Fissavo le sedute di lunedì, il giorno di chiusura, per poter essere al mio posto dal martedì in poi».
E soprattutto, non ha mai perso un momento della vita sportiva del figlio appassionato di calcio: «Il sabato apro un po’ più tardi per poter andare alle partite» sorride. E poi pensa al delicato equilibrio tra la sua malattia e le sue paure e la serenità della famiglia: «Ho avuto momenti difficili di ansia, paura e di dolore difficile da sopportare. Mi è capitato di stringere i denti fino all’ora in cui mio figlio andava a dormire, e poi di contorcermi sul divano dal male appena dopo. Mia moglie mi è sempre stata accanto, nonostante soffra anche lei insieme a me. E mi ha sempre detto di non piangermi addosso. Non la ringrazierò mai abbastanza».
E Simone Rossi ha interpretato il messaggio fin da subito. Quando ha perso i capelli per la chemioterapia, si è inventato un look in stile britannico, presentandosi in negozio con gilet e coppola in testa. «E a mio figlio» aggiunge «ho detto che mi ero rasato a zero perché avevo perso una scommessa con un amico su una partita della Juve». Non ha rinunciato alla sua passione per la mountain bike accelerando anche i tempi di recupero rispetto ai consigli dei medici, che descrive come persone di rara umanità lungo tutta la sua esperienza: «Mi piaceva fare enduro. Adesso vado per sentieri con la bici a pedalata assistita, ma mi fa sentire non malato». Nel lavoro poi ha chiesto ai suoi clienti di prendere appuntamento invece che venire liberamente: «Ho sempre parlato a tutti apertamente di quello che mi stava succedendo. Non ho niente da nascondere, mica ho commesso un furto…». E la reazione della maggior parte di loro è stata positiva: «C’è stato chi mi telefonava per dirmi che aveva il raffreddore, preoccupato che fosse un rischio per il mio sistema immunitario. E c’è anche chi mi ha chiesto consigli».
Simone Rossi ne ha uno per tutti: «Fate prevenzione. E sostenete la ricerca perché potreste esserci dentro voi, come è successo a me». Senza la ricerca e gli investimenti che la alimentano, non nascerebbero nuove terapie come quella che lui stesso sta seguendo: «Quando ho iniziato mi hanno detto che ero il terzo in Italia e l’ottavo al mondo». E pensando a chi è malato come lui e a quella foto di Mihajlovic, ha un altro messaggio: «Quando l’ho vista sul giornale, subito non l’ho riconosciuto. Ho pensato ai giorni in cui le cure e il cortisone mi avevano cambiato l’aspetto e non riconoscevano nemmeno me. E poi ho pensato alla mia esperienza, al desiderio di provare a superare la paura e il dolore e andare avanti. Non credo che mister Mihajlovic sia fuggito dall’ospedale, come ho letto da qualche parte. Sicuramente è uscito con il benestare dei medici. Ma le persone note come lui possono dare messaggi importanti. Ed è importante che siano corretti»