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Un paziente racconta: «La mia storia con l’intruso»

Dal fermo immagine nel giorno in cui gli fu comunicata la diagnosi alla lettera scritta ad A., il nome che ha dato al suo carcinoma al polmone: Mauro Selvaggio è una delle persone che frequentano abitualmente il centro di ascolto psicologico del Fondo Edo Tempia. È a Paola Minacapelli che ha manifestato l’idea di raccontare la sua vicenda che siamo stati felici di ospitare sulle pagine del numero di dicembre 2021 di Foglie.

Ci sono momenti nella vita di ciascuno di noi che sono dei veri e propri fotogrammi o, meglio ancora, degli autentici fermo-immagine. Come tutti, anch’io ne ho tanti, specialmente gradevoli: la prima vittoria sui 1500 metri in pista, l’arrivo della tanto desiderata patente per l’auto, la prima volta che vidi Giovanna, ovvero la donna della mia vita, il tabellone che, seppur un po’ stiracchiato, mi conferma di aver ottenuto il diploma di ragioniere, il giorno del “sì” a Giovanna, il primo vagito di Giacomo, e potrei andare avanti ancora per un bel po’.

Ma ci sono anche i fermo-immagine meno gradevoli, come l’attimo prima della caduta in bici in cui mi demolii mezzo bacino o il giorno in cui mi venne diagnosticato il carcinoma all’apice del polmone destro. Scusate, è ora che mi presenti: sono Mauro Selvaggio, ho 68 anni, abito a Ponderano e avrei un elenco interminabile di ringraziamenti. Per evitare di dimenticarmi qualcuno mi limito di dire, alla Gianni Morandi, “Grazie a tutti”. Sto per scrivere quella che è la mia storia perfettamente consapevole che ciascuno ha la sua personale storia, la sua personale reazione e quindi chi la sta leggendo può condividerla o meno; io sarei già felice se qualcuno si riconoscesse anche solo in parte nelle righe successive.

Torniamo al fermo-immagine del 15 giugno 2020: la dottoressa B. del reparto di Medicina Nucleare è davanti a me e Giovanna. Comprensibilmente la prende da lontano, dicendomi che il nodulo che all’ ospedale di Novara mi hanno tolto dal cervello è una formazione dovuta ad una lesione presente sul polmone destro. È un attimo: Giovanna sbianca e io realizzo subito di essere diventato un paziente oncologico. Paziente please, non malato. È la prima delle reazioni che ho e che, se avrete la pazienza di leggere queste righe fino in fondo, sarà la prima delle considerazioni e delle contromisure mentali, psicologiche e fisiche che ad un anno di distanza mi portano a dire: «Al momento sto vincendo io».

Infatti chiedo subito alla dottoressa B: «Dottoressa, mi sta dicendo che quella che mi hanno tolto dal cervello era una metastasi prodotta da un cancro al polmone?». E lei, evidentemente sollevata, mi risponde di sì. «Bene» le rispondo io, «cominciamo a chiamare le cose con il loro nome». Non chiedetemi da dove arrivi improvvisamente questa forza, non lo so. O meglio lo so in parte ma lo vedremo più avanti.

Di sicuro la “sventola” è potente, ma tant’è. Decido all’istante che la fine di questa storia da qualche parte è già scritta e quindi che le energie che spenderei nel preoccuparmi è meglio incanalarle per fare andare le cose al meglio. E la prima reazione è quella appunto di considerarmi “paziente” perché il cammino che si apre davanti a me sarà molto più lungo del mio sogno, ovvero el Camino de Santiago, e che per percorrerlo ci vorrà un’immensa pazienza. Sentirsi malato può già essere un pericoloso segno di rassegnata resa e, come dico sempre, scherzando ma non troppo, mi considererò malato il giorno che qualcuno mi dirà: «Domani a Ponderano ci sarà un funerale e tu sarai il protagonista». Sembro superficiale? Liberi di pensarlo, ma alla fine vi regalerò una frase che chiarirà definitivamente questo ed altri concetti fondamentali (non andate a leggerla adesso, vi prego: vi rovinereste la sorpresa).

La prima persona che dopo Giovanna è venuta a conoscenza della diagnosi è stato Giacomo, perché se da una parte pretendo che non mi sia nascosto nulla dall’altra non intendo assolutamente nascondermi né vergognarmi del mio stato di salute. Dopo ho informato gli amici più cari, i famigliari ed i parenti, gli ex-colleghi ai quali sono più legato, il Movimento dei Cursillos di Cristianità al quale ho appartenuto per anni (comincia ad esservi chiara una delle fonti di energia?). Insomma, ne ho sempre parlato con naturalezza magari scioccando l’interlocutore, non per sbandierare qualcosa ma con un solo scopo: quello di circondarmi di persone positive, che mi pensano, mi dedicano un “Pronto, come stai?” una preghiera, un pensiero d’amore o semplicemente di affetto. E sapete una cosa? Funziona, porca paletta! In quel preciso momento si crea una invisibile rete di energia che percepisci fisicamente, si apre un mondo nuovo che inaspettatamente ti fa capire quanto a tua insaputa sei importante per molte persone, altro che vergogna, rifiuto della realtà o isolamento. Dobbiamo vi-ve-re, condurre una vita il più normale possibile, non temere esami o terapie.

A proposito: io ho avuto l’immensa fortuna di tollerare bene chemio e radioterapie e ciò mi ha dato un’ulteriore forza interiore tant’è che seppur con le dovute piccole cautele non ho mai rinunciato ad una delle mie tante passioni: le camminate in montagna. Un altro dettaglio curioso: due giorni dopo la diagnosi ho scritto una lettera a quello che erroneamente definivo un ospite ma che ora considero un intruso. Facile capire la differenza, no? Un ospite è sempre gradito anche se arriva a sorpresa, un intruso è un intruso e basta, di cui sbarazzarci al più presto usando anche le maniere forti. L’idea della lettera non è stata mia ma di una ex-collega la cui mamma sta vivendo e combattendo con successo la sua battaglia.

A questo intruso diedi il nome di A. una persona che tanti anni fa si divertì per parecchio tempo ad infastidirmi per telefono e più o meno gli scrissi così: «Caro A., certamente ti armerai del coraggio dei vigliacchi nel colpirmi senza farti vedere, ma sappi che nel giorno della tua resa ti riconoscerò l’onore delle armi. Prometto di renderti la vita dura e sarai tu che dovrai accettare me e non io ad accettare te». All’inizio qualcuno mi chiese se provavo rabbia, rifiuto, se mi ero subito chiesto «Perché proprio a me?». Lo so, è umano chiederselo ma ho pensato subito: «Meglio a me che ad un bambino del “Gemelli”, meglio a me che a una mamma o un papà giovani e con figli piccoli, meglio a me che a Giovanna, meglio a me che a Giacomo…». Allora la domanda da porsi, anziché: «Ma perchè proprio a me?» diventa un «E perchè non a me?». Subito ho ricordato quello che ho sempre pensato in tempi non sospetti, ovvero che se fino a quel momento non ero ancora stato toccato dal cancro non era perché ero più bello o più furbo, ma solo più fortunato.

Torno un attimo sul discorso delle persone delle quali circondarsi: mi è capitato anche di parlare con persone che hanno avuto qualcuno in famiglia o amici che non ce l’hanno fatta, e giù a raccontarti la loro storia… Ebbene le ho prontamente liquidate rispondendo che ciascuno ha la propria storia e io porto avanti la mia. E siccome potrebbe capitarvi, come a me, di perdere anche dei cari amici durante il cammino, all’inevitabile senso di sconforto e d’inquietudine che subentra, di sicuro può essere d’aiuto pensare subito: «Guarirò anche per te».

Sì, lo so, potreste legittimamente rispondermi «Facile per te, che riesci a prendere le cose in questo modo» oppure «Ma non è che stai barando con te stesso e con il mondo intero?». Alla seconda ipotesi rispondo categoricamente no. A chi mi conosce bene (prima tra tutti Giovanna) basterebbe un nanosecondo per smascherarmi, e se riesco a prendere così le cose, vi garantisco che c’è anche molto di mio, con tecniche mentali che tempo fa ho avuto la fortuna di conoscere e praticare e con l’approfondimento del mio rapporto con il Signore, al punto di essermi sorpreso durante una Messa presso i nostri amici Frati Cappuccini di Novara nel ringraziarli per avermi ritenuto degno di vivere un’esperienza del genere. Sono pazzo? Può essere, su questo argomento non intendo approfondire in quanto “mio-mio”.

Avrete sicuramente notato che più volte parlo di positività ed è l’invito che faccio anche a tutti voi. Potreste obiettarmi: a questo punto, perché non ottimisti? Sicuro, essere ottimisti aiuta. ma penso che l’ottimista se le cose non vanno come sperava ci rimarrà male, mentre il positivo potrà sempre dire: «Almeno ci ho provato». E poi essere positivi aiuta, soprattutto se e quando il nostro aspetto fisico comincerà a cambiare. A me per esempio successe che nell’intervallo tra le due chemio cominciai a perdere i capelli nella zona dove la cute si era appena cicatrizzata. No problem, non mi piacevo affatto ed il giorno dopo optai per il classico taglio “a palla di biliardo” con l’intenzione che se i capelli non fossero cresciuti come volevo io mi sarei di nuovo rasato a zero. Oltretutto ho scoperto di avere una bella “biglia”… Vedo sempre più donne che non si nascondono più sotto foulard, bandane, cappelli eccentrici o improbabili parrucche. A loro dico brave, anche perché per una donna la perdita di capelli e ciglia è un tantino più traumatica che per un uomo.

Mi sto godendo ogni singolo giorno della mia vita. Oggi come oggi non temo esami, terapie (anche eventuali lievi effetti collaterali), non ho paura di parlare con i sanitari del meraviglioso Polo Oncologico dell’Ospedale di Biella, sono perfettamente consapevole che la battaglia sarà ancora lunga e magari lo sarà anche per voi, ma non abbiate paura e – mi rendo conto che dopo tutte queste righe di positiva speranza può sembrare un controsenso – rimanete sempre con i piedi per terra, consapevoli anche voi del fatto che un improvviso aggravamento. la comparsa di un cancro in un’altra parte dell’organismo o di una recidiva dopo anni di tranquillità possono sempre essere dietro l’angolo. Non abbiate fretta: magari i primi risultati positivi, come vi auguro di cuore. potranno far nascere l’illusione che la guarigione sia dietro l’angolo, ma anche solo il semplice stop allo sviluppo dell’intruso o il suo lento regredire saranno il migliore stimolo per continuare il cammino.

Ho finalmente terminato: ringrazio chiunque di voi abbia resistito fino alla fine, un grazie particolare alla dottoressa Paola Minacapelli che mi ha supportato e sopportato e, come promesso all’inizio, vi regalo un mio pensiero della prima ora che è diventato il mio karma: «Accettalo senza rassegnazione / Combattilo senza presunzione/ Sminuiscilo senza sottovalutarlo».

Mauro Selvaggio

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