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Pubblicati due studi per diagnosi e cure più efficaci per il tumore ai dotti biliari

Due studi condotti nel laboratorio di oncologia medica dell’istituto di Candiolo Fpo-Ircss, in collaborazione con il laboratorio di genomica e quello di oncologia molecolare della Fondazione Edo ed Elvo Tempia, sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Cancers. Entrambi i lavori hanno coinvolto Caterina Peraldo Neia, ricercatrice che dallo scorso anno fa parte dello staff del laboratorio di genomica, ed hanno per oggetto il colangiocarcinoma intraepatico, una patologia che colpisce i dotti biliari del fegato. Si tratta di un tumore altamente aggressivo, difficile da diagnosticare se non ad uno stadio avanzato. Mancano infatti dei biomarcatori che permettano di rilevare precocemente la malattia. Le opzioni terapeutiche per contrastarlo sono rappresentate dalla chirurgia, in un numero ridotto di casi, e dalla chemioterapia, in particolare dal farmaco Gemcitabina, efficace purtroppo per un periodo limitato di tempo. I tumori infatti sviluppano una resistenza al farmaco, rendendolo inefficace.

Proprio per questo motivo, nel lavoro intitolato: “Establishment and Characterization of a New Intrahepatic Cholangiocarcinoma Cell Line Resistant to Gemcitabine”, i ricercatori del laboratorio di Candiolo, sotto il coordinamento e la supervisione di Giuliana Cavalloni, hanno creato un modello in vitro di resistenza alla Gemcitabina per poter studiare i meccanismi biologici e molecolari che portano all’inefficacia del farmaco. I profili di espressione delle cellule sensibili e di quelle resistenti sono stati confrontati, attraverso analisi di laboratorio ed analisi bioinformatiche, condotte da Paola Ostano del laboratorio di Genomica. I risultati hanno consentito di conoscere i geni coinvolti nel processo di resistenza e identificare quindi possibili farmaci alternativi per il trattamento del colangiocarcinoma intraepatico.

Il secondo lavoro, intitolato “Assessment of a High Sensitivity Method for Identification of IDH1 R132x Mutations in Tumors and Plasma of Intrahepatic Cholangiocarcinoma Patients” è la continuazione di uno studio coordinato dal direttore del laboratorio di genomica Giovanna Chiorino, svolto analizzando pazienti reclutati in diversi ospedali italiani, nel quale si era dimostrato che la mutazione del gene IDH1 è un marcatore di progressione tumorale. Nell’intento di identificare la mutazione di IDH1 nelle cosiddette “biopsie liquide”, Maria Scatolini ed Enrico Grosso del laboratorio di oncologia molecolare, la struttura della Fondazione Tempia che ha sede all’ospedale di Biella, hanno messo a punto una metodica altamente sensibile, efficace e poco costosa che permette di rilevare la presenza della mutazione non solo nel DNA estratto dal tessuto tumorale, ma anche nel DNA circolante nel plasma dei pazienti affetti da colangiocarcinoma intraepatico.

Proprio in questo ultimo punto sta l’innovazione dello studio: la quantità di mutazione trovata nel sangue del paziente aumenta durante la progressione della malattia, confermandone il ruolo di biomarcatore. Ma il punto ancora più interessante è che il gene IDH1 mutato è bersaglio di un farmaco “intelligente” che colpisce solo le cellule tumorali che recano questa particolare alterazione. Pertanto, la terapia chiamata “Anti-IDH1” risulta essere una possibile arma alternativa ed efficace per il trattamento di questa patologia che, come detto in precedenza, spesso viene diagnosticata in fase già avanzata.

Entrambi gli studi sono stati coordinati da Francesco Leone, oggi primario della struttura complessa di oncologia dell’Ospedale degli Infermi di Biella, che fino allo scorso febbraio è stato il coordinatore dell’unità tumori gastrointestinali della divisione di oncologia medica di Candiolo, diretta da Massimo Aglietta.

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