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#il2019delFondo – I progetti di Francesco Leone per l’oncologia a Biella

Dal numero di ottobre di Foglie

pagina 4-5 Francesco Leone

La porta del suo ufficio, a metà del corridoio del reparto, è spesso aperta. Un dettaglio che è quasi un simbolo: per Francesco Leone, da marzo direttore della struttura complessa di oncologia, aprirsi al mondo è uno degli obiettivi fondamentali. «Fare rete» spiega «vuol dire mettere a disposizione le reciproche competenze nel campo dell’assistenza e della ricerca. In questo modo si persegue non solo l’interesse del territorio, ma si entra in una dimensione oltre il locale, alla ricerca di un bene comune e più ampio». Ma non è l’unico traguardo da raggiungere, per l’ospedale biellese e per la sanità pubblica in generale: «La modernizzazione è un obiettivo, non solo nella tecnologia e nelle terapie, ma nel modo di rapportarsi ai pazienti, che devono essere al centro del nostro lavoro. Così come è importante la formazione, e a Biella ho trovato grande sensibilità sul tema, fondamentale per dare motivazione, integrazione e aggiornamento scientifico agli operatori. E poi c’è la ricerca».

Quando si parla di “bene comune”, in riferimento al lavoro che scienziati di tutto il mondo svolgono quotidianamente attorno al cancro, il pensiero va ai progressi frutto proprio dei progetti di ricerca. Leone, piemontese, 51 anni, laureatosi in medicina a Torino a lungo nel corpo docente dell’università del capoluogo, è stato coordinatore di progetti di ricerca durante gli anni passati all’Ircss di Candiolo, alcuni dei quali svolti in collaborazione con le strutture della Fondazione Tempia. «Anche per questo la situazione biellese non mi era sconosciuta» sorride. «Sapevo che qui esistono risorse e persone in grado di contribuire a una produzione scientifica di prestigio. Avvicinandomi e immergendomi in questa realtà ho capito che proprio la collaborazione con le associazioni non profit come Fondo e Fondazione Tempia, così profondamente radicate nel territorio, offra potenzialità straordinarie per sopperire ai limiti della sanità pubblica che, quando si tratta di reperire risorse, deve fare i conti con i bilanci da tenere in equilibrio».

Sulla ricerca, i progetti di Francesco Leone sono già sul tavolo: «Ho già in mente una lista di priorità da esplorare perché Biella porti un contributo ancora più forte allo sviluppo scientifico». In più c’è il vantaggio di poter lavorare davvero fianco a fianco con le persone con cui ha già collaborato in passato, compresi i ricercatori dei laboratori di genomica e oncologia molecolare della Fondazione Tempia: «Riflettendo insieme sui problemi si migliora. Anche nell’era delle informazioni che viaggiano rapidamente via e-mail lo scambio diretto è importante». E un’ulteriore spinta deriverà dall’intesa siglata con l’università di Torino e la Regione, che renderà a guida universitaria anche il reparto di oncologia, dopo quelli di ostetricia e ginecologia, laboratorio analisi, pediatria e otorinolaringoiatria. «È stata un’iniziativa coraggiosa» sottolinea Leone. «Ci collegherà al resto del Piemonte rendendoci un polo di attrazione. Avere a disposizione protocolli di cura innovativi significa accogliere pazienti da fuori provincia». Nel “mondo perfetto” del primario, l’assistenza sanitaria deve essere un sistema a più centri, ognuno con le sue specializzazioni: «Accade già ora, quando indirizziamo i malati verso strutture più attrezzate e con competenze più avanzate. I pazienti ritornano da noi con gratitudine perché, a fronte del disagio di non curarsi “vicino a casa”, c’è il vantaggio di ricevere la migliore assistenza possibile. E poi a ridurre il disagio ci sono servizi come quello del Fondo Edo Tempia, che aiuta le persone a recarsi anche negli ospedali più lontani. In un prossimo futuro, potrebbe rendersi necessario il percorso inverso: andare a prendere persone lontane per portarle a Biella».

Mettere il paziente al centro è l’obiettivo di una delle iniziative che Francesco Leone sta attuando proprio in questi giorni: «Stiamo creando, all’interno dello staff, dei gruppi di lavoro specializzati per patologie. Questo consentirà ai pazienti di avere un oncologo di riferimento e un nucleo di persone, sempre le stesse, a cui appoggiarsi per qualsiasi necessità o dubbio. Sono le nuove terapie a richiedere nuovi modelli organizzativi: oggi quasi la metà dei farmaci si assume per via orale. Significa che si può seguire la terapia a casa e non necessariamente in reparto. Ma significa anche dover gestire a distanza i problemi che comunque si presentano e mettere a disposizione persone in grado di rispondere alle domande e alle esigenze dei pazienti anche quando non sono qui». A porte aperte, appunto. Come quella del suo ufficio.

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