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Annalisa e il Dignicap: «Mi guardo e non mi sento malata»

Il Dignicap è l’apparecchiatura che l’ospedale di Biella, primo in Piemonte, ha messo a disposizione delle pazienti sottoposte a chemioterapia dopo la diagnosi di un tumore al seno. La donazione della Fondazione Tempia, con il sostegno di associazioni, club di servizio, aziende, Comuni e semplici cittadini, ne ha consentito l’acquisto. Questa è la testimonianza di una paziente che lo ha usato, dal numero di primavera della nostra rivista “Foglie”.

«Quel nome è perfetto: Dignicap, come la dignità che una macchina riesce a regalare nel momento della malattia. Ora mi guardo allo specchio e nemmeno mi accorgo di essere in cura». Sorride Annalisa Livorno, 37 anni, un marito e una figlia di cinque anni. E la diagnosi di un tumore al seno arrivata all’improvviso qualche mese fa. «Così all’improvviso che non ho quasi avuto il tempo di pensarci né di preoccuparmi» racconta. Oggi dopo la biopsia, gli accertamenti, l’intervento chirurgico, la chemioterapia, la giovane mamma non ha perso né il buonumore né i capelli perché fin dalla prima infusione di medicinali, ogni ciclo è stato accompagnato da un trattamento con l’apparecchiatura che il Fondo Edo Tempia ha donato all’ospedale di Biella. E i prossimi passi da affrontare sembrano un pochino meno pesanti.

«Mi basta tener conto di qualche piccola precauzione: niente messa in piega, un po’ più di attenzione con lo shampoo, ma per il resto posso condurre la mia vita normalmente» dice Annalisa Livorno. «E dire che all’inizio ero titubante». Forse è normale e umano: la prima volta in cui una paziente sente parlare del Dignicap, la diagnosi e la terapia sono già in corso, con il loro carico di angoscia e timore. «In realtà non sono una persona che si preoccupa» svela la giovane mamma. «Quando mi sono accorta del nodulo nel modo più casuale possibile, appoggiandomi al bancone di un bar, ho subito prenotato una visita specialistica. E ho avuto la fortuna di trovare la dottoressa Adriana Paduos che mi ha accompagnato passo dopo passo. Nel giro di due mesi era tutto fatto, esclusi ovviamente i cicli di chemioterapia». Adriana Paduos, che è chirurgo ma anche direttore sanitario del Fondo Edo Tempia, le ha subito proposto il trattamento con il Dignicap: «Avevo paura del freddo e forse ero un po’ stanca al pensare di aggiungere altri dettagli alle mie cure. C’era già la chemioterapia con quel nome spaventoso… Invece poi ho scoperto che è soprattutto il nome che mette paura. Lo dico a tutte le donne: è una battaglia che si può affrontare».

A ogni appuntamento per la somministrazione dei farmaci, Annalisa Livorno indossa anche il doppio casco che abbassa la temperatura del cuoio capelluto fino a 3 gradi per limitare l’effetto aggressivo delle sostanze sui follicoli piliferi. E prima è necessario bagnarsi i capelli «Ricordo la prima volta. Nel letto accanto al mio c’era una donna con due paia di calzini, due maglioni, due coperte. Ho pensato che facesse davvero freddo. E invece per fortuna è una sensazione che si può sopportare. Coprendosi bene, certo, anche perché il trattamento dura tra un’ora e un’ora e mezza in più dopo la fine della chemioterapia».

I risultati sono stati sorprendenti e positivi: «Ho perso qualche capello, certo. Ma guardandomi allo specchio non sembro malata. E non lo sembro nemmeno per le persone che ho intorno o per chi mi vede mentre cammino per la strada. La più triste forse è la mia bambina. Le ho raccontato tutto e quando le ho detto che forse avrei perso i capelli avevamo deciso di andare in un negozio di parrucche e comprarne sette, una per ogni giorno della settimana. Quando ha scoperto che invece i miei capelli sarebbero rimasti al loro posto, mi ha chiesto: “Allora niente parrucche, mamma?”. Ne aveva giù vista una tutta blu. A lei piaceva, a me un po’ meno…».

L’ottimismo, il buonumore: anche questo fa parte di un percorso di terapia. «E poi il sostegno che ho avuto è preziosissimo» svela Annalisa Livorno. «Penso alla mia famiglia che si è presa carico di tutte quelle cose che io, soprattutto in certi giorni, fatico a portare a termine, da mio marito ai miei genitori e ai miei fratelli. Mia madre arriva a cucinarmi il pranzo per il giorno della chemioterapia: arrivo in ospedale con la pietanziera… La ragazza che incontro sempre durante i trattamenti è originaria della Bosnia e i suoi familiari sono quasi tutti là. Mi dice che sono fortunata». Ma non è tutto: «Se penso al sostegno che sto ricevendo, devo ringraziare l’aiuto del Fondo Edo Tempia. Partecipo ai programmi con le psicologhe, che aiutano me e la mia bambina ad affrontare la situazione. Ho iniziato musicoterapia, una scoperta illuminante. Frequento il corso di cucina e quello di make up. È tutto a nostra disposizione, a un passo da casa. E a volte ci dimentichiamo di quanto sia prezioso».

Ora, con i capelli al loro posto e con la forza di chi ha fatto squadra intorno a lei, per Annalisa Livorno si tratta di affrontare l’ultima porzione di terapie. «La mia vita è quella di sempre» racconta. «Io sono sempre la solita, capelli compresi. «Ma so di essere cresciuta. Quando questa vicenda sarà finita, sarò diventata un po’ più grande, con un bagaglio di vita in più che porterò sempre con me».

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